L’OSTEOPOROSI POSTMENOPAUSALE E L’ESERCIZIO FISICO AD ALTA INTENSITA’ DI CARICO

L’OSTEOPOROSI POSTMENOPAUSALE E L’ESERCIZIO FISICO AD ALTA INTENSITA’ DI CARICO
08 Mag

L’osteoporosi postmenopausale è una tra le problematiche più diffuse a cui il mondo femminile va incontro. Ad un numero sempre più elevato di persone viene diagnosticata tale patologia, dovuta al periodo di menopausa che provoca uno squilibrio tra le cellule responsabili del riassorbimento osseo (osteoclasti) e quelle responsabili del deposito di minerali all’interno del tessuto stesso (osteoblasti).

Nonostante di per sé la patologia non presenti sintomi, quest’ultima provoca una riduzione della massa ossea e di conseguenza una maggior fragilità del tessuto che è potenzialmente esposto ad un aumento del rischio di sviluppare fratture.

Il luogo comune che ne deriva quindi è rappresentato dal raccomandare di intervenire farmacologicamente e di eseguire attività fisica moderata.

A differenza di ciò che si crede però, il tessuto osseo risponde in maniera migliore a stimoli meccanici caratterizzati da velocità e frequenze notevoli a cui conseguono deformazioni tessutali di entità elevate, che sollecitano a loro volta il processo di rimodellamento osseo (indispensabile per la salute del tessuto stesso).

Alla luce di ciò che è stato citato quindi il training che meglio stimola il tessuto, possedendo tali requisiti, è lo strength training, costituito da esercizi fisici ad alta intensità di carico.

Che cos’è l’osteoporosi? Inquadramento della patologia e meccanismo di insorgenza

L’osteoporosi viene definita come una patologia sistemica dell’apparato scheletrico, caratterizzata da una riduzione quantitativa della massa ossea, che comporta a sua volta un deterioramento della microarchitettura del tessuto stesso con conseguente incremento della fragilità dal punto di vista osseo. Tale condizione quindi implica una maggior probabilità di andare incontro a frattura.

L’osteoporosi di tipo postmenopausale, in particolare, appartiene al gruppo delle forme generalizzate di osteoporosi di tipo primario.

Per quanto riguarda l’epidemiologia, l’osteoporosi rappresenta una delle patologie più diffuse al mondo, con un impatto molto rilevante sulla qualità di vita e sul sistema sanitario nazionale da un punto di vista economico. Nello specifico l’osteoporosi postmenopausale viene definita tale nelle donne che presentano osteoporosi con età superiore ai 65 anni circa (a differenza di quella senile che invece si presenta a partire dalla stessa fascia d’età ma in entrambi i sessi). Le donne infatti vanno incontro ad una riduzione della massa ossea pari a 2-3% l’anno, con una prevalenza all’interno della popolazione femminile italiana al di sopra dei 50 anni del 41%.

L’eziopatogenesi dell’osteoporosi postmenopausale deriva da una causa di tipo ormonale, ovvero dalla riduzione del numero degli estrogeni deputati all’inibizione della funzione degli osteoclasti. Gli estrogeni inoltre aumentano la secrezione di calcitonina e favoriscono l’assorbimento intestinale del calcio e della vitamina D. La diagnosi di osteoporosi o osteopenia viene effettuata grazie all’esecuzione di un’indagine strumentale chiamata densitometria ad assorbimento di raggi X (DEXA: dual energy X-ray bsorptiometry), che risulta essere molto meno invasiva rispetto alla tomografia computerizzata a livello della colonna vertebrale. La densitometria infatti può essere eseguita “total body” oppure a livello della colonna lombare o del femore.

Lo Strength training

Per allenamento di forza s’intende un training mirato all’aumento della forza muscolare, caratterizzato solitamente da un’intensità di carico tra 80-100% di 1 repetition maximum, utilizzando all’incirca da 1 a 6 ripetizioni per esercizio.

Per forza massimale invece s’intende il limite massimo che il sistema neuromuscolare può raggiungere per generare forza. La forza massima generata da un singolo muscolo è direttamente proporzionale alla sezione trasversale del muscolo stesso. Inoltre, anche la composizione delle fibre muscolari e il numero di sarcomeri possono andare ad influenzare tale parametro. L’adattamento di tipo neurale del muscolo è influenzato principalmente dalle dimensioni del muscolo stesso, le quali a loro volta vanno a condizionare il reclutamento di unità motorie (quest’ultime reclutate in base alla tipologia e alla loro dimensione).
La capacità quindi di generare forza è data sia da fattori di tipo neurale che morfologici. Lo strength training inoltre è responsabile di numerosi benefici. Gli effetti positivi che agiscono a livello sistemico infatti risultano essere: la riduzione del rischio di insorgenza del cancro, la mortalità ad esso legata e il tasso di mortalità in generale. Tale allenamento è anche fautore del rilascio di fattori protettivi nel sistema circolatorio che vanno a mediare la risposta metabolica in altri organi e apparati, come il tessuto adiposo, il fegato, il sistema cardiovascolare e nervoso. Questi cambiamenti diminuiscono lo stato infiammatorio, riducendo il rischio di sviluppo di malattie croniche ad esso associate. Possiede degli effetti benefici anche sull’ansia, sui sintomi depressivi e favorisce il miglioramento della qualità del sonno e della performance durante le attività.

Lo Strength training e gli effetti sul tessuto osseo

Lo sviluppo di queste caratteristiche e la possibilità di trarre i benefici sopraelencati, associati al miglioramento della forza, sono causati dagli stimoli meccanici che vengono applicati all’apparato muscoloscheletrico. Secondo la legge di Wolff ed il processo di meccanotrasduzione, il tessuto muscoloscheletrico è in grado di rispondere a degli stimoli, promuovendo l’adattamento a quest’ultimi e variando la propria istologia in termini di massa, struttura e qualità (grazie anche al processo di rimodellamento osseo). Si è visto infatti che un aumento della massa ossea (stimolato da questa tipologia di training) fornisce una forza strutturale maggiore che permette di far fronte in maniera più efficace alle perturbazioni esterne a cui l’organismo è sottoposto e al rischio di sviluppare fratture.

L’allenamento della forza come proposta terapeutica nelle donne con osteoporosi in postmenopausa

A differenza delle raccomandazioni all’interno delle linee guida sulla gestione ed il trattamento dell’osteoporosi, secondo cui in questa condizione è necessario attuare un training a bassa intensità di carico (solitamente un training di cammino), (poiché i soggetti si contraddistinguono per avere una struttura ossea maggiormente fragile e più esposta al rischio di andare incontro a frattura) il tessuto osseo risponde in maniera più ottimale agli stimoli meccanici che inducono delle deformazioni di elevata entità, a velocità e frequenza notevoli. La densità minerale ossea quindi aumenta in modo vistoso tramite esercizi di resistenza ad alte intensità di carico (circa 80/85% di 1 RM), promuovendo anche il picco di massa ossea e il miglioramento dell’architettura dell’osso stesso.

Inoltre negli studi che si sono condotti, oltre ad avere un effetto molto positivo in termini di aumento di massa ossea, si è evidenziata quella che è la sicurezza e la fattibilità di questa tipologia di training, in quanto non sono emerse fratture trattamento-correlate. In aggiunta, il training di forza massimale ad un’intensità pari a 85-90% di 1 RM con una velocità proporzionata al carico durante la contrazione concentrica riporta outcomes molto positivi in termini di miglioramento della densità minerale ossea nelle donne in postmenopausa con osteopenia o osteoporosi.

Tale tipologia di training quindi risulta essere molto efficace per il trattamento dell’osteoporosi o dell’osteopenia nelle donne in postmenopausa. Ad oggi però non esiste ancora un’unanimità relativa ad un protocollo che vada ad indicare la tipologia di esercizi e la posologia più adatta in termini di numero di ripetizioni, durata ed intensità.

Lo strenght training però pone le basi per il trattamento di tale problematica in un modo controcorrente e innovativo, auspicando a dei risultati efficaci futuri, in termini sia di prevenzione che trattamento vero e proprio della patologia, andando quindi ad agire sul benessere dell’individuo a 360°.